La Sacred Bones Records ha annunciato che a giugno ristamperà Mother Earth’s Plantasia, un brevissimo concept album che, come recita il sottotitolo – Warm earth music for plants… and the people who love them –, è stato pensato per il benessere e la cura delle piante, tanto che sarà accompagnato da un manuale di botanica illustrato.

Uscito nel 1976 e rimasto per molti anni appannaggio di una nicchia di intenditori e collezionisti, ha iniziato a circolare online non più tardi di un paio di anni fa, ottenendo migliaia di visualizzazioni. Tra i commenti sui forum e su YouTube si legge che molti hanno trovato la prima edizione del vinile tra le cianfrusaglie di qualche parente o l’hanno addirittura ricevuto in allegato gratuito con l’acquisto di altri dischi. Oggi quell’edizione è un pezzo da collezione, venduto a centinaia di euro online, ed è considerato come un capolavoro di avanguardia e sperimentazione, un formidabile viaggio nel mondo delle piante lungo dieci tracce, tra library music e space age electronic pop, nonché uno dei più riusciti esperimenti interamente realizzati con il sintetizzatore Moog.

D’altra parte l’autore è stato uno dei primi a mettere le mani sui congegni di Robert Moog nella seconda metà degli anni Sessanta, ed è stato anche uno dei più visionari compositori della sua epoca: Mort Garson, canadese di nascita e californiano d’adozione, un personaggio eccentrico e fuori dal comune, come tutti i pionieri. Il suo curriculum parla chiaro, è sufficiente sapere che ha sonorizzato la diretta televisiva dell’allunaggio dell’Apollo 11 nel 1969, ma sarebbe un peccato non menzionare The Zodiac: Cosmic Sounds e Signs of the Zodiac, lavori mastodontici e inquietanti, dedicati al lato esoterico dei dodici segni zodiacali, oppure, addentrandoci ancora di più nell’occulto: Black Lucifer Mass e Ataxaria the Unexplained, dischi che hanno gettato le basi dell’industrial e della new wave.

La curiosità di Garson per mondi ignoti e oscuri è andata di pari passo con una carriera fatta anche di grandi successi commerciali ed è tra i pochi ad essere stato in grado di rimanere credibile nella selva della musica sperimentale più underground, pur producendo e scrivendo singoli finiti nei primi posti in classica come Our Day Will Come – numero uno nella classifica Billboard Hot 100, nel dicembre ’62 – o l’ancor più nota Guantanamera.

Ciò che accomuna tutti i dischi di Mort Garson in realtà è davvero semplice, sono pensati come regali per un pubblico molto specifico: sua moglie, che oltre a essere una grande appassionata di musica, si dà il caso che fosse anche una fervente ambientalista col pollice verde e una casa piena di piante di cui si prendeva cura quotidianamente.

Mai come nel caso di Mother Earth’s Plantasia si può parlare di un disco “seminale”, visto che ha ispirato moltissimi album dedicati alla botanica, un piccolo mondo discografico nascosto, a metà tra utopia e scienza, basato sulla volontà di produrre musica che favorisca e stimoli la fotosintesi delle piante, partendo dai numerosi studi che ne dimostrano l’efficacia.

L’esponente più autorevole sulla scia di Garson è sicuramente Roger Roger, un altro pioniere della musica elettronica e autore di colonne sonore library, che nel 1978 pubblica il brevissimo De la musique et des secrets pour enchanter vos plantes, meno fiabesco di Plantasia e più tendente a un immaginario fantascientifico. Poi c’è Music for plants del musicista tedesco Jan Grünfeld, più incline a utilizzare loop e arpeggi di chitarra, oppure la compilation dai toni decisamente più lounge Musique pour les plantes vertes che nel 1996 riunì i principali esponenti della musica elettronica francese in nome delle piante.

A ispirare Mort Garson è stato un libro in particolare: The secret life of plants, (La vita segreta delle piante, Il Saggiatore) pubblicato nel 1973 e divenuto subito un caso editoriale oltreché una Bibbia per piccoli e grandi appassionati di botanica. A scriverlo è stato un altro personaggio la cui vita è molto più simile alla trama di una serie tv HBO che a quella di noi comuni mortali: Peter Tompkins, agente segreto, giornalista, esoterista, storico del fascismo, archeologo. È complicato addentrarsi nella sua biografia senza dilungarsi troppo, basti sapere che ha avuto un ruolo fondamentale durante la Resistenza Italiana, come agente speciale dell’OSS – Office of Strategic Services, i servizi segreti statunitensi prima della CIA – in particolare per la Liberazione di Roma nel 1944, e che dopo il conflitto si è concentrato sull’attività di saggista, approfondendo le tematiche più disparate, dai misteri delle piramidi e degli obelischi, a quelli dei Servizi Segreti, passando per l’assassinio di François Darlan, fino alla storia del fascismo e, appunto, alle piante.

La vita segreta delle piante, scritto assieme al botanico e filosofo Christopher Bird, passa in rassegna credenze popolari, alchimia, rabdomanzia, per arrivare alle scienze moderne e ai più recenti studi sugli organismi vegetali che teorizzano quanto essi siano in grado di provare emozioni, di comunicare tra loro e di adattarsi all’ambiente circostante, fino ad approfondire le teorie secondo cui le piante sarebbero in grado di “ascoltare” la musica, o meglio, di percepirne vibrazioni e frequenze che influenzerebbero la fotosintesi e il generale stato di salute della pianta.

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Il Saggiatore

A proposito di musica, da questo saggio nel 1979 è stato tratto un documentario omonimo, la cui colonna sonora di Stevie Wonder che accompagna le incredibili immagini in time-lapse, è diventata uno dei suoi dischi più bizzarri e esotici: Journey through the Secret Life of Plants. Venti tracce, molte delle quali strumentali, che pagano un tributo enorme a Plantasia non tanto nell’uso dei sintetizzatori o negli arrangiamenti orchestrali, quanto nella volontà di creare lo stesso immaginario bucolico – anche qui i protagonisti dei brani sono dionee, ragni, orchidee, giardini segreti e non meglio specificati alberi, fiori e semi –, in salsa vagamente new age, arricchita di quando in quando da stravaganze afropop, cori ecclesiastici, commedie jazzate, sitar indiani e canti giapponesi.

In un articolo intitolato Meet the Plantfluencer pubblicato sul New York Times nell’autunno del 2018, viene raccontato l’enorme successo degli account Instagram interamente dedicati alle piante, di cui esistono centinaia di esempi, rispondono a decine di hashtag e sono seguiti da milioni di persone in tutto il mondo. Non si tratta esclusivamente di una moda occidentale, ma anche dell’espressione estetica e culturale di fattori economici, urbanistici e sociali. Fenomeni come le “giungle urbane” o “House Jungle” sono le conseguenze - secondo diversi studi - del fatto che i millennials fanno sempre meno figli, molto spesso perché non possono permetterseli, vivono spesso da soli in appartamenti senza giardino, in città inquinate e sempre meno verdi, lavorano in uffici asettici privi di un ricambio di ossigeno adeguato.

In altre parole le piante sono la risposta più semplice e economica a necessità emotive e ecologiche, prima ancora che un fotogenico oggetto di arredamento. Anche a questa ondata verde si deve il proliferare di playlist o podcast dedicati alle piante, tributi come Music For People & Their Plants Vol 1 di Brendan Wells Plant Music, un lavoro autoprodotto totalmente devoto ai sintetizzatori di Garson. Poi ci sono gli esperimenti prettamente contemporanei come l’etichetta Data Garden fondata a Philadelphia nel 2011, nata per produrre dischi accompagnati da semi o di cui era possibile piantare direttamente le copertine, nel corso degli anni ha sviluppato diverse performance artistiche e istallazioni legate alle piante, al punto da sviluppare “MIDI Sprout” un hardware che si collega alle piante, ne capta i segnali bioritmici e li traduce in audio che sono diventati brani sperimentali prodotti dalle piante stesse, che ora hanno anche una radio in streaming che trasmette tutto il giorno la loro musica live.

Un decennio prima di tutto questo nasceva la neurobiologia vegetale, una scienza rivoluzionaria che studia l’intelligenza delle piante, di cui uno dei principali esponenti è Stefano Mancuso, oggi direttore del LINV (Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale) dell’Università di Firenze e autore di successo di saggi sul tema, che ha avvicinato moltissime persone – soprattutto giovani, lo dimostrano i pienoni alle sue conferenze – a interagire e prendersi cura delle piante. La riscoperta di Plantasia e di Mort Garson è parte integrante di questo movimento, ma esistono anche degli esempi rudimentali antecedenti, già nel 1970 si trova traccia di Music to grow plants di Dr. George Milstein, un dentista che si è scoperto un genio dell’orticoltura e che faceva ascoltare alle sue piante swing tutto il giorno. Ma c’è anche la musica classica raccolta in questa compilation nel 1975, oppure il jazz acustico di Plant Music, l’unico disco di una band che si chiama Baroque Bouquet, nello stesso anno.

Alle piante poi, bisogna anche parlare, come fanno Ann Chase in A chant for your plants o Molly Roth in Plant talk, che già nei primissimi secondi specifica il suo intento "So che non avete tempo per parlare con le vostre piante, quindi lo farò io per voi". Molto gentile da parte di Molly, ma sarebbe meglio trovare il tempo per ascoltare un bel disco insieme alle vostre piante, nella peggiore delle ipotesi avrete solo scoperto un po’ di buona musica, ma probabilmente è molto più di così.